C’è stato un momento in cui mi è servito Ligabue per scoprire una parte di cultura musicale, quella americana. La soundtrack del film Radiofreccia per la precisione, un lavoro onesto e sentito ma parimenti dozzinale e raffazzonato, vantava una colonna sonora di classici facili facili che nel 1998 mi aprì la strada a una punta di iceberg di una storia rock e folk che ancora oggi esploro ben lontano dal scoprirla nella sua interezza.
Era Tolkien che diceva che qualsiasi viaggio, più o meno lungo o epico inizia appena al di fuori della propria porta di casa e il mio inizia con Radiofreccia. Il tema delle radio indipendenti è trattato in modo dozzinale, accennato, e poco di quello spirito primordiale emerge dal racconto dell’opera prima del cantautore bolognese. Meno che in altri film dedicati al tema come “I Love Radio Rock” del 2009. Molto meglio la descrizione della provincia italiana ai tempi della rinascita economica del Paese, della sensazione di straniamento della gioventù di allora, quella dei nostri padri. Di come molti si sono persi e molti altri sono diventati l’esempio di noia e compostezza che ora tanto bene conosciamo, ma che in realtà hanno vissuto una libertà che noi nemmeno lontanamente riusciamo ad immaginare e tantomeno a vivere.
C’è un ponte però che ci consente di volgere lo sguardo a quei tempi e sono le note di quella musica che in quei tempi di non globalizzazione erano un profumo lontano di ideali fatti di guerre e sangue, di urla e rancore contro un potere che accomuna tutte le anime umane del globo. L’anno raccontato dal film è il 1975 che per noi ha tutto il sapore di bandiere bruciate, lotte per i diritti delle minoranze razziali, per le donne, per sopravvivere alla guerra. Storie di generazioni falcidiate dai proiettili e dalla droga, che scoprono l’amore in una maniera potente e inedita e tutto questo viene assorbito dalla musica che ancora oggi è un saldo pavimento sul quale arredare tutto il nostro approccio a questa arte.
Intendiamoci, a i tempi di Radiofreccia ascoltavo il grunge dei Nirvana e dei Soundgarden, il rock classico di Beatles e Rolling Stone, i rocker che allora infestavano le classifiche da Alanis Morrissette agli Oasis. Non ho scoperto il rock grazie a Ligabue (che ai tempi usciva con album come “Buon Compleanno Elvis”, altra roba rispetto alle sue produzioni contemporanee) ma di certo ho volto il mio sguardo ad un campo ancora inesplorato, quello più strettamente legato alla cultura americana, quella che quando non c’era ancora Internet rimaneva ancora in una zona oscura, se proprio non ti sforzavi a cercare, svelare.
Così grazie ai protagonisti del film che facevano girare i dischi, grazie alla camera di Ligabue che non lesinava di filmare questi momenti, sono stato assalito letteralmente dalla poetica musicale totale di Lou Reed. Ho letto tra le note tantissime caratteristiche della cultura americana, di quello che stava dentro la sua società e soprattutto quello che ne stava al di fuori. Musiche dissacranti piene di vita e di lotta. “Rebel Rebel” del Duca Bianco, “Passenger” dell’Iguana, “Run Through The Jungle” dei Creedence. Canzoni che come poche altre ti portano negli angoli più reconditi delle praterie americane, polverose e immobili, come immagino siano esattamente le stesse ora come un secolo fa, perle come “Willin” dei Little Feat. La sudista fino al midollo “Sweet Home Alabama” dei Lynyrd Skynyrd, l’ululato liberatorio di Warren Zevon da sbraitare al cielo e alla luna con “Werewolves In London”. E ancora Roxy Music, Earth, Wind And Fire, Allman Brothers Band.
Per chi come me si approcciava all’età adulta nella carta d’identità, la colonna sonora di Radiofreccia ha consentito di acquisire una specie di patente di guida anche per guidare nella cultura del rock oltreoceano. Una colonna sonora è sempre frammentaria e legata ad un racconto filmico che per forza di cose è soggettivo, limitato ad un punto di vista al quale dobbiamo associare il nostro per almeno un’ora e mezza. Ma può essere un punto di partenza, per uscire dalla Contea e raggiungere gli Elfi della musica americana e da lì chissà, attraversare il mare alla ricerca di chissà quali strabilianti avventure. La musica è un viaggio e per ognuno è diverso, e per nessuno per fortuna ha una fine, un punto di arrivo. Buon ventesimo compleanno Radiofreccia.
Daniele Corradi