Sperimentale, elettronico, poetico. Il Corvo D’Argento di fine Novecento è lontano sotto ogni aspetto, non soltanto temporale. Si assiste a una continua evoluzione metrica e lessicale. Il suo rapporto con le rime non è mai uniforme: “a volte mi sento così lontano dalle cose che scrivo che le scrivo con le vertigini / altre volte così vicino che gli schizzi della bic mi sporcano il viso come lentiggini”. Delirio e lucidità verbale in un’opera fuori dagli schemi. La sua è “musica marginale”, ma solo per la distanza dal modello rap più diffuso. L’ascolto di “Di Vizi di Forma Virtù” è consigliato anche a chi non ha molta confidenza con il genere. Magari per qualche minuto. Trentacinque tracce potrebbero mettere in difficoltà chiunque.
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