Il progressive è uno dei generi più pericolosi in assoluto di cui parlare. Sia perché gli appassionati di queste sonorità hanno sempre il coltello in mano per infierire sul malcapitato giornalista di turno (a priori, troveranno sicuramente una virgola su cui attaccarti), sia perché la materia pur essendo oggettiva – la preparazione, l’abilità compositivo-esecutiva e la creatività non sono elementi certo trascurabili per suonarlo – è tra quelle maggiormente soggettive, considerate le infinite emozioni che questa musica ha da sempre veicolato negli ascoltatori.
Dando per scontato per King Crimson, Pink Floyd, Rush, Dream Theater e Tool possano essere considerati – in base alle loro epoche di maggiore splendore artistico e al sound specifico di ognuno di loro – i cinque alfieri principali del genere che nel Novecento è partito dallo psych rock per poi diventare prog rock e spingersi fino al prog metal (fondendosi con generi opposti, mescolandosi anche pericolosamente con quelli più semplici, tornando indietro per poi continuare a evolvere), nel Duemila si è iniziato a identificare come “progressive” anche qualcosa che nasceva grazie all’incontro di generi molto più estremi rispetto a quelli classici.
Tutto questo papocchione introduttivo per arrivare a una sentenza inequivocabile: il primo album dei SikTh merita di essere annoverato tra i capisaldi del progressive del nuovo millennio quale massima espressione dell’evoluzione del metal in qualcos’altro. Assolutamente inclassificabile, “The Trees Are Dead & Dried Out Wait for Something Wild” è un gioiello di musica underground che fornirà linfa non solo al mathcore ma soprattutto al djent (no, non c’entravano solo i Meshuggah l’avreste mai detto?) e al prog-core che si svilupperà da questo momento in poi. I SikTh a loro volta hanno ideato le proprie fantasie sonore dopo aver sicuramente ascoltato band come Primus e Faith No More, oltre a qualcosa di maggiormente underground come Coalesce e Dillinger Escape Plan. Ma sono molteplici i riferimenti rintracciabili nella loro musica.
Nell’oretta a disposizione, Mikee W. Goodman e Justin Hill intrecciano le loro ugole non solo omaggiando le lezioni che Mike Patton ha in passato donato gratuitamente al mondo (soprattutto con Mr.Bungle e Fantomas), mentre la band si regala viaggi ultra terreni tra alternative, nu-metal, progressive (ma va?), hardcore e sperimentazioni ai confini col free-jazz. Il tutto con casuali e imprevedibili inserti melodici che lasciano sconvolti quando fanno capolino.
E’ sufficiente ascoltare “Scent of the Obscene” per capire di cosa si sta parlando. La stralunata cover di “Tupelo” di Nick Cave and the Bad Seeds e gli interludi di piano solo (“Emerson”) a cura del chitarrista e produttore Dan Weller, danno tregua a un assalto sonoro che non finisce di affascinare e confondere meravigliosamente le idee. “Pussyfoot” e “Hold My Finger” (pubblicata originariamente nel 2001) sono forse i momenti più lineari in questa rigogliosa foresta di creatività e sperimentazione.
Nel 2006 parlammo così del secondo album dei SikTh, per poi inserirli anche nel 2013 mentre ultimavamo la stesura della qui presente Musicologia.