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Editoriali

I The Velvet Underground: coloro che scrissero le sorti del Rock

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Velvet Underground foto free creative commons tratta da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Velvet_Underground_WLWH_publicity_photo.jpg

Quello dei The Velvet Underground è il lascito artistico, un’eredità senza pari, che ha plasmato la musica a partire dagli anni ’60 fin ad oggi, pur restando per anni nell’ombra. La loro grandezza nacque in modo totalmente inconsapevole, con il semplice istinto di fare musica fuori da qualsiasi schema.

Come uno scienziato che nel 1943 sintetizzò l’LSD per la prima volta senza immaginare la portata della sua scoperta, i Velvet Underground nei loro studi di registrazione diedero vita, senza premeditazione, alle prime sonorità di generi che sarebbero esplosi decenni dopo: punk, post-punk, indie rock, garage rock[…] Semplicemente suonando, e suonando a modo loro.

Totalmente alieni alle convenzioni, con un Lou Reed ossessionato da testi su morte, sesso, droga e alienazione, e l’incontro con un visionario studente di musica classica John Cale, che condivideva la sua stessa spinta alla sperimentazione, nacque un duo creativo dalle doti straordinarie. Con l’arrivo di Sterling Morrison, amico di studi di Reed, alla chitarra, e di Angus MacLise alla batteria, si completò la prima incarnazione di una band fuori dai schemi girovagante per i locali di New York.

Tuttavia, quando MacLise abbandonò il progetto, rifiutando di accettare denaro per suonare, venne sostituito da Maureen “Moe” Tucker, la batterista più minimalista e inusuale degli anni ’60. Dallo stile essenziale, costruito su percussioni ipnotiche e tribali, senza piatti, senza rullanti, e un groove dal tratto primitivo e ossessivo.

Da quel tocco di angoscia dai ritmi tribali della batteria, lo stile parlato, monotono e distaccato di Lou Reed, i suoi testi crudi e senza filtri, la chitarra di Morrison ruvida e densa capace di intrecciare melodia e caos ai ritmi della band, e la sperimentazione estrema di Cale, che alternava viola elettrica, piano e basso in atmosfere ipnotiche e disturbanti, nacquero i The Velvet Underground.

Dai sotterranei di New York alla Factory di Warhol

Esibendosi nei locali dei meandri di New York, nel sottobosco di una città che fece da fonte per il loro lato crudo e sporadico, dopo essersi fatti un nome al Café Bizarre, locale famigerato del Greenwich Village di NY, attirarono l’attenzione del genio della pop art degli anni 60′, Andy Warhol, che, su suggerimento di alcuni membri della sua Factory, decise di prenderli sotto la sua ala.

L’incontro con Warhol cambiò radicalmente le sorti della band: dall’underground newyorkese agli ambienti più sperimentali e avanguardisti della Factory, il passo fu breve. Warhol divenne il loro manager, e la prima mossa fu quella di affiancare alla band la sua musa, la modella e attrice tedesca Nico (Christa Paffgen), convincendoli a inserirla come vocalist.

I Velvet, ora con Warhol come mentore e Nico come nuovo elemento scenico, partirono per un tour che non era fatto solo di concerti, ma un’esperienza multimediale totale, una collisione tra suono, immagini e performance che li inserì nel mondo dello spettacolo nazionale ed evolse ancor di piu il loro lato creativo. Da quel momento, il passaggio dallo stage allo studio di registrazione fu immediato. Warhol procurò alla band un contratto con la Verve Records per il loro album d’esordio, garantendogli totale libertà creativa. Fu così che nel 1967 nacque “The Velvet Underground & Nico”, l’album destinato a riscrivere le regole della musica rock.

‘The Velvet Underground & Nico’ la base di tutto.

L’album dalla copertina con la banana sbucciabile disegnata da Warhol, “The Velvet Underground & Nico” fù un totale distacco dal mainstream. Mentre il mondo ascoltava il pop-rock colorato e lisergico dei Beatles e dei Jefferson Airplane, i Velvet arrivavano con un sound sporco, oscuro e angoscioso, fatto di distorsioni, rumori e testi crudi.

Disco iconico, psichedelia pura e non solo, che trascende l’essenza della creatività mischiata alla geniale follia dell’essere umano, “Sunday Morning” che viene oggi accreditata come la prima traccia Indie-Rock della storia, apriva il disco con una dolcezza ingannevole, prima che il caos prendesse il sopravvento con “I’m Waiting for the Man”, cronaca brutale di un acquisto di droga a Harlem. “Venus in Furs”, con la viola elettrica di Cale, liberava delle atmosfere torbide e perverse ispirate alla letteratura sadomaso. “Heroin” era un viaggio sonoro nella dipendenza, con un crescendo che simulava il picco e la caduta della droga . E poi c’era “All Tomorrow’s Parties”, cantata da Nico con un’inquietante freddezza, quasi ultraterrena.

I testi narrati dal frutto della mente perversa e provocatoria del genio di Reed, e le atmosfere sonore dei Velvet rendono l’album un viaggio in un mondo di cronaca impregnata di follia e surrealismo che, contiene tutto: dalle distorsioni, alle vocalità, agli accompagnamenti, alle sperimentazioni e ai ritmi, suonati in modo totalmente alieno ai sound dell’epoca, ma furono tutti ingredienti amalgamati alla perfezione che fecero da insegnamento a coloro che vennero dopo.

L’album fu un flop, ignorato e stroncato dalla critica. Ma nel tempo si rivelerà un seme piantato nella storia della musica. Brian Eno dirà: “Poche persone comprarono quel disco, ma chiunque lo fece, fondò una band.” E aveva ragione. Da qui nacque tutto: punk, post-punk, noise rock, alternative… da un disco nato semplicemente con l’intento di sperimentare la propria visione di arte. I Velvet Underground aprirono una porta, che nessuno avrebbe mai chiuso.

‘White Light/White Heat’, la spinta oltre e i primi dissidi

The Velvet Underground & Nico erano i The velvet underground dal lato crudo e sperimentale, i primi velvet, la prima pietra. Nel 1968 con “White Light/White Heat” si spinsero oltre. Il secondo album fu pura abrasione sonora, una dichiarazione d’intenti senza compromessi. John Cale, si fece più dominante nella produzione proponendo la band verso un suono sporco, distorto e volutamente caotico, ma comunque guidato da una forte sperimentazione, non c’era più traccia delle melodie ipnotiche di Sunday Morning o del minimalismo di Femme Fatale: questo disco era rumore, delirio e improvvisazione.

Fu registrato in modo grezzo e impulsivo infatti.Quasi come una sessione live, con volumi altissimi e distorsioni portate all’estremo, tanto che il tecnico del suono Gary Kellgren raccontò che “si rifiutava di stare in studio durante le registrazioni, perché la band suonava così forte da rendere l’ambiente insopportabile”

Brani come “White Light/White Heat” incarnavano l’energia frenetica delle anfetamine di cui parla, folle psichedelia dai tratti disturbanti, “I Heard Her Call My Name” era un sentiero di chitarre distorte e deliranti, riconosciuta oggi come probabilmente il primo prototipo di hard-rock della storia. Mentre l’insuperabile “Sister Ray”, una strepitosa jam di oltre 17 minuti in cui la band perdeva ogni controllo, lasciandosi trasportare da feedback, distorsioni e un’ossessiva linea di organo che scompigliava il cervello minuto dopo minuto, fu una delle prime rappresentazioni estreme di noise rock e proto-punk.

White Light/White Heat fu il canto del cigno della formazione originale: le tensioni tra Reed e Cale divennero insostenibili e, poco dopo l’uscita del disco, Lou Reed spinse per l’allontanamento di Cale, decisero di escludere Warhol dalla produzione, e al suo posto arrivò Doug Yule, che li portò su un suono più morbido e accessibile.

‘The Velvet Underground’, una svolta, ma anche l’inizio di una fine

Nel 1969 uscì “The Velvet Underground”, un album che segnò una svolta più introspettiva. I suoni estremi vennero messi da parte per lasciare spazio a composizioni più raffinate e delicate. Canzoni come “Candy Says”, cantata da Yule, mostravano un lato più malinconico della band, mentre “Pale Blue Eyes” si distingueva per la sua dolcezza disarmante. Tuttavia, l’album non rinunciava affatto alla sperimentazione: “The Murder Mystery” mescolava voci sovrapposte e strutture atipiche, mantenendo vivo il lato più audace dei Velvet.

‘Loaded’, il canto del cigno dei The Velvet Underground

Purtroppo però, la crisi fù dietro l’angolo. Nel 1970, con “Loaded”, Lou Reed tentò di dare alla band un suono più accessibile, con l’intento (esplicito sin dal titolo del disco) di creare un album “carico di hit”. Brani come l’intramontabile “Sweet Jane” con il suo riff semplice ed essenziale che fece scuola nell’alternative, e “Rock & Roll” che rappresentava un’anticipazione del rock da stadio, diverranno infatti i pezzi più riconoscibili dei Velvet.

Tuttavia, proprio mentre sembrava avvicinarsi il successo, Reed lasciò il gruppo, esasperato dalla direzione che le cose stavano prendendo, la sua visione così contrastante con il resto della band, e una dipendenza da eroina sempre più influente, lo decisero ad allontanarsi. Senza di lui, i Velvet Underground tentarono di sopravvivere, ma ormai l’anima della band si era dissolta. E i Velvet non sopravvissero.

Dopo la fine di una storia, tentarono di tornare, ma..

Nel 72′ Lou Reed e John Cale tornarono a collaborare per il progetto Songs for Drella, un album dedicato alla memoria di Andy Warhol, scomparso nel 1987, che sebbene non ci fossero i restanti velvet, significò un calmarsi delle acque.

La vera reunion avvenne nel 1993, quando Reed, Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker si riunirono ufficialmente per un tour in Europa. Il ritorno fu accolto con grande entusiasmo, e per molti fu l’occasione di vedere una delle band più influenti della storia dal vivo. Si esibirono in vari festival e arene, tra cui il Glastonbury Festival e il Bataclan di Parigi. Il concerto al Bataclan fu anche registrato e pubblicato in seguito. Ma nonostante l’entusiasmo iniziale, le vecchie frizioni tra Reed e Cale ritornarono. Le divergenze artistiche e le forti personalità di entrambi portarono a nuove tensioni e il progetto di registrare un nuovo album venne abbandonato, alla fine del tour, Cale lasciò nuovamente la band…

Nel 1996, vennero introdotti nella Rock & Roll Hall of Fame. Reed e Cale salirono sul palco con Tucker, ma Morrison, purtroppo, non poté esserci poichè era morto nel 1995 a causa di un linfoma. A differenza di molte altre band, durante la cerimonia non si esibirono, ma lasciarono lo show con la saggezza di averci provato, e il merito finalmente attribuito da tutto il mondo. Infine, Low Reed ci lasciò nel 2013, e dei Velvet Underground non rimase che l’impronta indelebile nella storia della musica.

Rimane la leggenda immortale.

La loro eredità vive ancora senza se e senza ma. I Velvet lasciarono incise nella storia le loro folli sperimentazioni e viaggi all’interno dei meandri più inesplorati dell’arte regalando alle generazioni successive tutto il necessario; senza di loro molto di come lo conosciamo oggi non sarebbe così, riscrissero le regole senza nemmeno volerlo, fecero di una band un patrimonio, lasciando un impatto affascinante con dei dischi formidabili dai quali trarre insegnamento ancora oggi, e sui quali viaggiare senza sosta.

‘sunday Morning’, The velvet underground & nico

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