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Ministri – Giuramenti

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A un anno dall’ep Cronaca Nera e Musica Leggera i Ministri tornano con il nuovo album Giuramenti, un lavoro nato dalla stessa sessione di registrazioni dell’ep, rispetto al quale rappresenta, per molti aspetti, una sorta di rovescio della medaglia: tanto tirato, pestone e socialmente orientato il primo; quanto personale, intimo e ricco di ballate e pezzi down tempo il nuovo lavoro (li trovate entrambi nella versione speciale in cd dell’album). Diverso da quello a cui la band milanese ci ha abituati in tutti questi anni, Giuramenti porta in sé la traccia del suono e della scrittura che ci hanno fatto amare i Ministri sin dai tempi de I soldi sono finiti, ma sviluppa con maturità di prospettive una vena romantica e introspettiva, che tanto corrisponde al sentire attuale di una formazione, i cui componenti sono giunti alla soglia dei 40 anni e  attraverso le durezze della pandemia, con tutto il carico di domande e incertezze che ha determinato, in modo quanto mai evidente, per chi fa musica.

Nove tracce ricche di riflessioni personali, dunque, anche se l’occhio dal contesto i Ministri non lo tolgono neanche questa volta e se il personale di cui si parla in queste canzoni non può prescindere dal loro essere musicisti. Lo raccontano già a partire dal titolo: Giuramenti, una scelta al contempo incisiva e confessionale, in cui la band ha voluto racchiudere tutto il senso della propria esistenza, ossia quel patto di fede che Davide Divi Autelitano, Federico Dragogna e Michele Esposito hanno fatto tra loro, con se stessi e con la musica come scelta di vita, come questione sacrale. In un mondo fatto di numeri e monetizzazione a tutti i costi, i Ministri rinnovano i loro Giuramenti, continuando a muoversi su un terreno alternativo e con queste nove canzoni cercano di dipanare la matassa, di trovare risposta ai tanti interrogativi arrivati in questi due anni di travaglio, da cui rinascere come la fenice – ancora una volta un animale totemico – che troneggia nella cover dell’album.

Arrivano potenti già dai due singoli, che hanno anticipato l’uscita, i temi forti di questo lavoro: dallo sconcerto davanti alla mera mercificazione della musica, cantato in Scatolette (“Voi ci volete comprare/noi ci vogliamo salvare/ma ci volete davvero?/non ci farete del male?”), al bisogno di tornare ai contenuti in una realtà liberata dal dominio dei Numeri (“Facciamo pace coi numeri/facciamo pace con gli incubi/facciamo finta di crederci e andiamo a farci sentire”). Di gridare, però, questa volta i Ministri non sembrano avere più di tanta voglia e non è che manchino i pezzi tirati, dalla già menzionata Numeri a Documentari e Ci eravamo detti, ma a prevalere qui è l’afflato intimista.

“Giuramenti è un disco che abbiamo scritto per non dimenticarci le domande che ci siamo fatti in questi due anni. Un disegno sulla parete di una grotta più che un manifesto sulla via di una grande città”, hanno affermato alla vigilia della pubblicazione. Tanta della sostanza di questo disco, infatti, arriva sull’onda dei brani più morbidi, dalla ballatona in chiusura Comete, a Vipere, tra futuro e veleno – “due parole che a posteriori ci siamo accorti ricorrere spesso nel disco”, ha detto Dragogna – fino a Domani Parti, in cui sullo sfondo di una relazione che finisce, trova spazio una riflessione sociale e personale: “Noi nelle nostre caverne facciamo i nostri disegni/sapete tutto di no/ ma non volete venire a vederli”. E poi c’è Esploratori, pezzo incastonato dritto nel cuore dell’album: una rivelazione, per quanto amara. “Ti volevi arrampicare/trasformare il mondo insieme a lei/ma il mondo finisce qui/ è nelle mani del vento/ è nelle mani del ghiaccio/ di tutto il fuoco che ha dentro/ A cosa serve cantare?”.

La risposta, forse, è proprio in quei Giuramenti, lì, tra le righe di un lavoro dove non manca nulla e nulla è superfluo. Un album prodotto dai Ministri con Ivan Antonio  Rossi e curatissimo anche dal punto di vista dei suoni, tra spigoli e rotondità, che si dipanano su una tavolozza timbrica che va dalle chitarre acustiche, ai synth, sull’onda del graffio, un marchio di fabbrica, del power trio. Nota felice: il tocco vagamente post-punk/dark wave di Arcipelaghi e Domani Parti, senza dubbio due degli episodi più felici di un album destinato a lasciare un segno importante nella storia della band.

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