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Interviste

Fosco17, con le sue canzoni amare ci insegna che non c’è sempre bisogno di raccontare in lacrime le cose tristi

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È disponibile dal 4 dicembre in streaming e digital download le mie canzoni amare (Trident Music/Polydor),
il nuovo singolo di Fosco17. Il brano arriva ad un anno di distanza dalla pubblicazione del primo album
dell’artista bolognese e dal tour che lo ha accompagnato nel 2019, dopo la partecipazione alla precedente
edizione di Sanremo Giovani.
«Come i film di Sordi o di Villaggio, non c’è sempre bisogno di raccontare in lacrime le cose tristi: le mie
canzoni amare è un pezzo tragicomico. E come la voce di Mina o quella di Celentano, a volte il modo
migliore per far piangere è ridere: le mie canzoni amare è un pezzo agrodolce.»
Le mie canzoni amare è un brano potente e allo stesso tempo leggero, catchy e divertente, ma con un
retrogusto amaro, che ci svela la nuova e maturata profondità sonora e lirica di Fosco17, perfetto trait
d’union tra ciò che abbiamo imparato ad amare del giovanissimo cantautore bolognese e le sonorità
attraenti e sofisticate del prossimo album. Vi troviamo una vena intimamente personale e profonda che non disdegna la semplicità, una maturità che abbandona l’acerbo degli esordi senza perderne l’urgenza
espressiva. Fosco17 è una sintesi tra la sua identità e il suo gusto personale assieme al tono tipico della
forma canzone italiana. Fosco17 non è musica leggera, è musica italiana.

Come stai passando questo periodo così assurdo per l’Italia e il mondo intero?

Devo dire che ero più grintoso il primo lockdown, a Marzo. Questa situazione un po’ a metà faccio più fatica a gestirla, però faccio le mie cose, difficile che rimugini su quello che avrei potuto fare.

 

Sei uscito con questa nuova canzone, Le mie canzoni amare, mai titolo fu più tempestivo. E’ figlia di questo periodo o ci avevi lavorato già prima?

In realtà è stata scritta, prodotta e registrata subito nel periodo da prima a subito dopo il primo lockdown. Non ha nulla a che vedere con questa storia, né con me in effetti perché racconto la storia di qualcun altro.

 

Però l’hai sentita particolarmente tua.

Si. Io trovo che le parole siano un po’ meno importanti della musica. E’ ovvio che siano importanti ma “come può uno scoglio arginare il mare”, se non fosse stato cantato con quella ritmica e quelle note, non avrebbe avuto lo stesso significato. Poi è chiaro, non voglio toccare Mogol perché le sue parole fanno la differenza. Quindi si, ho sentito mia quella storia perché tutte le storie sono le storie di tutti se dici la verità. L’importante è raccontarla in maniera vera, sia tu che canti che la storia stessa. Tutti sentiamo le stesse cose, è un po’ quello l’assurdo: che ci siano incomprensioni nonostante il fatto che la realtà comprenda tutti in modo uguale. Quindi credo sia questo il punto.

 

Quello che lascia un po’ l’amaro di questa canzone più che le parole in sé forse è la contrapposizione fra la musica e le parole: uno lì per lì l’ascolta in modo leggero ma alla seconda, terza volta fai più caso a quello che ti viene detto.

Si, e ti accorgi che il testo ti deprime fortemente! (ride)

 

Esatto, o comunque ti fa pensare in modo più serio rispetto alla parte strumentale, che comunque ricorda un po’ certa musica leggera attuale.

Mi dai due assist: per quanto riguarda la prima cosa credo siamo abituati a sentire cose tristi cantati in maniera triste e cose felici cantate in maniera felice, e spesso è così che funziona. Mi hanno insegnato, perché non ci avevo fatto caso, che in realtà fare il contrario è ancora più d’impatto. Quindi si sente, effettivamente, questa cosa, anche per parlare della musica italiana. E’ ancora un po’ celata, qui, ma credo verrà fuori più avanti in modo più esplicito, ma anche questo fa parte di un immaginario in cui siamo tutti nati e cresciuti, l’estetica di questo Paese. E’ un’estetica confusa con tanti imput che vengono elaborati in modo così diverso.

 

Quindi hai già un tuo percorso in mente per i prossimi mesi, mi sembra di capire. O almeno uno ci prova!

La verità è che i servizi segreti non mi consentono di parlarne (ride). In mente ce l’ho, la musica che deve uscire adesso esiste già ed è già stata creata. So come pubblicarla e ho idea delle immagini che associo a queste canzoni ma non ho idea di quando usciranno. Non lo si sa mai, figurarsi  in questo periodo qui.

 

Tu sei relativamente emergente, non hai fatto in tempo a farti la bocca sul meccanismo “produco-concerto-produco-concerto”. Ti stai facendo l’imprinting in un periodo molto particolare, rispetto a come tu ti immaginavi fosse fare musica, che non ti garantisce di incontrare il tuo pubblico e sapere se stai facendo bene il tuo lavoro.

Si, grazie a Dio non succede mai (ride)

 

In questo modo uno non riesce a toccare con mano quello che produce, e magari si dice “Uh, sono stato bravo, sto andando nella direzione giusta”

Oppure il contrario!

 

Si, anche! Voglio dire, rimani col dubbio.

Si, è molto vero. Chiaramente io ho appena finito il mio primo tour, e come unica esperienza di Fosco17 è anche la prima di cui posso parlare. Io come Luca però ho sempre suonato. Nei ruggenti anni ‘10 del 2000 in realtà era un po’ diverso: c’era molta meno importanza della distribuzione digitale e i dischi erano già tramontati. Quindi in realtà già si suonava tanto. Ho sempre e solo concepito la musica come un mezzo per fare un’esibizione, quantomeno all’inizio: ultimamente questa cosa si è ribaltata, anche prima del Covid, e trovo che siano proprio due cose diverse. Quando si è in studio a scrivere, arrangiare, produrre, è un lavoro che ha tanti punti in comune a livello pratico, ma è proprio un’altra cosa rispetto a quello che riesci a fare e comunicare su un palco. Il problema quindi non è tanto quello di non trovare un riscontro, anche se ovviamente il problema c’è, quanto quello di rimanere artisti a metà, e non parlo solo di me ovviamente. Finchè non lo vedi sul palco, finché un artista non lo vedi faccia a faccia non lo capirai mai davvero. Certamente una persona non la capirai mai al 100%, siamo fatti di sfaccettature che non vogliamo condividere, ma il problema è quello. Sarà strano tornare a suonare.

 

Ormai è chiaro che prima della prossima estate difficilmente ci sarà qualcosa dal vivo, e forse la gente sarà anche più impaurita e più abituata al distacco.

E’ possibile. Io quest’estate non ho fatto niente perché era impossibile, e comunque il tour era già concluso. Non ho mai suonato eccezion fatta per un evento dei ragazzi del collettivo HNCF qui a Bologna. Ho fatto tre canzoni chitarra e voce su un palco, e ti dico che non è mai stato così emotivamente sconvolgente per me, non ho mai avuto così tanta ansia di salire su un palco come per quelle tre canzoni. Ecco, prendiamolo come spunto su quale possa essere il nostro pensiero per stare su un palco perché molto spesso, sopratutto in alcune circostanze, si fa fatica ad abbattere la parete fra musicisti e pubblico.

 

Dirò una cosa facilmente fraintendibile ma capiscimi: considerando che io sto da questo lato vedo comunicati, tour e tutte le informazioni. Fino al fatidico febbraio 2020 si aveva l’impressione che fosse diventato un po’ una catena di montaggio: qualsiasi artista faceva qualche brano, sfondava un po’ sullo streaming, poi faceva un album più o meno arrabattato e tour piccolo, medio, grande o gigantesco. Forse era un meccanismo destinato a rompersi a prescindere da una pandemia.

Si però non è successo e non succederà.

 

Dici che ripartirà così, senza nessuna riflessione?

Credo non si sia mai fermato: al momento quello che determina la catena di montaggio è la distribuzione digitale. La possibilità di distribuire gratuitamente il tuo materiale è bellissima, la quintessenza dell’arte, ma ha dei problemi: un aumento delle persone che vi si dedicano per esempio, nel bene e nel male. Tutta questa giostra è dettata da convenienze economiche, magari vince il dover fare tre tour in due anni e riuscire comunque a campare con la tua musica rispetto a fermarsi e prendere le cose in modo più riflessive rischiando però di non poterci campare. Chi se lo può permettere e vuole farlo lo fa, ma ci sono anche estremi opposti a tantissimi livelli.

 

Il tuo programma di viaggio quindi prevede l’uscita di un album?

Si, arriverà assolutamente: avete sentito questa che è una canzone che esce un po’ dal coro, e l’album ha una struttura abbastanza solida e questo brano ne fuoriesce, quindi ci piaceva farlo uscire per primo. L’album si, uscirà sicuramente, e certamente nel 2021 perché il 2020 ha dato tutto quello che poteva dare e persino di più. Sicuramente durante il 2021 riuscirò a raccontare qualcos’altro.

 

Pensando bene a questo momento: tre parole per definire cosa rappresenta la musica nella tua vita.

Un’ossessione, sicuramente, un obiettivo e una condanna.

 

Invece pensando a quando non avevi ancora intrapreso questo cammino, quali sono i tre album che non potrebbero mai mancare nella tua collezione e che più hanno segnato ciò che sei adesso?

Dico Safari di Jovanotti, Lampo viaggiatore di Ivano Fossati e con questo sarei già abbastanza a posto però me ne hai chiesti tre, quindi…qui si apre una voragine, c’è toppa roba. Posso dire due? No dai, me ne hai chiesti tre. Me ne hai chiesti tre quindi ti dico Andate tutti a fanculo degli Zen Circus perché comunque ho iniziato a suonare a causa loro, anche se musicalmente non incontrano più al 100% i miei gusti. Poi scegline tu uno dei Beatles, uno qualsiasi!

 

Quindi comunque me ne dai quattro, alla fine.

Eh, lo so. Scelgo Ornella Vanoni e Cotugno. Via i Beatles e via gli Zen Circus.

 

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