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Interviste

Giulio Bianco – Delayed, musica d’aeroporto per tornare a viaggiare

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Giulio Bianco è polistrumentista del Canzoniere Grecanico Salentino, il più conosciuto ed importante gruppo musicale di world music al mondo, nel genere riconosciuto come “pizzica” o “taranta”. Eclettico compositore con oltre 20 pubblicazioni all’attivo, virtuoso di flauti dolci, armonica a bocca e zampogne. L’album Delayed segue, a distanza di qualche anno, il suo primo disco solista: “Di zampogne, partenze e poesia” nel quale, la zampogna è al centro della musica stessa. Delayed è un disco di musica strumentale, preceduto dall’uscita del singolo “Hamburg”, che si propone di raccontare la solitudine forzata a cui siamo stati costretti, ogni brano si intitola come il nome di una città in cui Giulio Bianco avrebbe dovuto esibirsi, ma a causa della pandemia i concerti sono poi stati rinviati o annullati. L’album si propone di rappresentare un viaggio sonoro, guidato dalla forza dell’immaginazione, capace di colmare la mancanza dell’esperienza dei concerti che non hanno potuto avere luogo. Il disco è stato realizzato grazie al sostegno di Puglia Sounds (Programmazione P.S.Record 2020/2021, regione Puglia – FSC 2014/2020 – Patto per la Puglia – Investiamo nel vostro futuro)

Delayed è sicuramente il prodotto di tante emozioni contrastanti. È il diario di un viaggio introspettivo iniziato in quei giorni difficili e che per quanto mi riguarda non è mai terminato. Le sue pagine trasudano sicuramente sofferenza e malinconia ma anche consapevolezza, amore, serenità e quel senso di libertà e di evasione che solo la musica riesce a darti. Per il resto, l’album si sarebbe potuto anche chiamare con l’equivalente anglofono di “cancellato” piuttosto che “rinviato”, così non è stato perché credo che l’arte debba sempre alla fine lanciare un messaggio costruttivo, una speranza, altrimenti diventa fine a sé stessa.

Delayed è il titolo del tuo nuovo album, anticipato dal brano “Hamburg”. Altro titolo non si poteva dare visto che l’ispirazione nasce dal forzato isolamento causato dalla pandemia e dal conseguente fermo di tutta la musica live. Sbaglio se affermo che ho sentito dentro una sofferenza profonda? Come una lacerazione.

Il video che accompagna il singolo è davvero molto bello, ipnotico. Un mondo sopra, un mondo sotto, quasi si toccano. La ricerca dell’io, in questo caso è più artistica o personale?

Il videoclip di Hamburg, scritto e diretto magistralmente da Nuanda Sheridan, nasce dall’esigenza di svelare quei luoghi interiori in cui gli esseri umani si ricongiungono alla propria essenza. Il video celebra la bellezza che si cela nella paura dello smarrimento, nella folle e tormentata corsa verso sé stessi. Freud diceva che un’opera d’arte è l’espressione diretta dell’“io” di un Artista; dei suoi pensieri, dei suoi conflitti interiori ma anche il racconto della sua personale interiorizzazione del mondo esterno. Nello specifico credo che il vissuto generi direttamente la produzione artistica, e che quest’ultima in qualche modo, influenzi il vissuto in modo costante. La sfera personale e quella artistica sono due mondi in simbiosi, la ricerca del mio io passa costantemente da entrambi.

Tutti i brani portano i nomi di alcune importanti città, come mai questa scelta?

Il messaggio principale dell’album è che “la Musica è Lavoro”. Il mio intento, quando ho deciso di pubblicare i brani era quello di riportare l’attenzione del pubblico sulla situazione drammatica che gli artisti hanno vissuto. Ogni traccia ha il nome di una città in cui in questi lunghi mesi non ho potuto fare un live a causa della pandemia. Delayed è un viaggio immaginario al posto di un viaggio musicale purtroppo mai intrapreso.

L’intero disco è strumentale e la definisci musica “da aeroporto”. Che tipo di significato assume questa definizione?

Credo che il primo a parlare di “Musica da Aeroporto” sia stato Brian Eno nel 1978, riferendosi a una nuova forma di colonna sonora studiata per accompagnare gli spazi. Per me, che negli ultimi 20 anni ho preso più aerei che autobus, musica da aeroporto è tutta quella produzione di musica strumentale che accompagna costantemente i miei viaggi, siano essi mentali o fisici, e che ha la capacità di influenzare la percezione del tempo.

Ho letto che questo disco vuole essere, anche, un esperimento sociale. Mi piacerebbe molto approfondire la questione.

Da sempre gli artisti cercano l’isolamento in fase di scrittura. Personalmente mi sono chiesto come potesse cambiare la produzione di un musicista nel momento in cui l’isolamento non fosse una scelta consapevole ma gli venisse imposto dall’esterno; è così che è iniziata la scrittura dell’album. Quello che ne ho dedotto è che la musica è un “essere sociale”, che c’è una musica per ogni stato d’animo, per ogni mood, che può essere la più grande forma di evasione da se stessi ma contemporaneamente anche il più grande mezzo per guardarsi dentro. È che musica nata da questo tipo di isolamento può anche diventare famiglia, come dimostrano i legami che il disco ha creato.

L’album si avvale di ottimi musicisti che sono stati i tuoi compagni in questo viaggio musicale. I brani erano pronti quando sei arrivato in studio o ci sono stati arrangiamenti nati strada facendo?

La scrittura di tutti gli arrangiamenti e la prima registrazione delle parti, per forza di cose, è avvenuta in completa autonomia. Ho la fortuna di essere un polistrumentista ed è quindi stato facile e naturale per me registrare tutte le parti preventivamente nel mio home studio, grazie anche all’utilizzo dell’elettronica e ad alcuni campioni di percussioni e bouzuky di Mauro Durante ed Emanuele Licci che avevo registrato per il disco del 2018. Quello che è cambiato con le collaborazioni è sicuramente il sound design dell’album. Ho la fortuna di collaborare spesso con Giacomo Greco degli Inude, che nel disco ha curato lo sviluppo delle parti ritmiche e di tutti i sinth basses che non venivano da parti di clarinetto. Luca Tarantino ha ri-registrato le chitarre di Hamburg e Delhi, e per forza di cose, grazie al suo immenso talento, il mood di questi due brani è migliorato tantissimo. Maria Stella Buccolieri ha fatto un lavoro meraviglioso interpretando il piano di Paris. Gli archi di Fernando Toma, Rosa Andriulli e Andrea Parisi hanno infine aggiunto verità e concretezza agli arrangiamenti; ricordo ancora l’emozione fortissima di quando in studio spegnemmo per la prima volta gli archi sinth e ascoltammo i loro.

“Di Zampogne, Partenze e Poesia” è stato il tuo primo album solista, il tutto girava intorno a questo antico strumento. Oggi ci presenti una strumentalità diversa. Cosa ti ha portato su questa nuova strada?

“Di Zampogne, partenze e poesia” è un disco del 2018, anche questo realizzato col supporto di Puglia Sounds, che mi ha portato tantissima fortuna. Il suo progetto musicale era quello di rivalutare uno strumento “povero” come la zampogna, facendola dialogare con gli archi classici e l’elettronica. Delayed è un disco di musica ambient elettronica, che spazia dalla world al chill out citando spesso la forma musicale della colonna sonora. Sono due dischi molto diversi tra loro ma che hanno secondo me un’anima comune: in entrambi, al centro di tutto, ci sono sempre strumenti tradizionali. La maggior parte delle parti solistiche di Delayed sono suonate da Chalumeau, l’antenato del clarinetto, e molti sinth basses e quasi tutte le textures del disco, sono comunque stati ricavati processando suoni di Chalumeau, Clarinetto, Zampogne e Armoniche a bocca. L’ultimo lavoro è un’evoluzione del mio percorso musicale personale, dovuto sia alla costante ricerca di nuovi linguaggi per i miei fiati, sia agli ascolti e alle collaborazioni che mi hanno portato a crescere musicalmente in questa direzione. Se sia solo una parentesi o un percorso che si evolverà lo scopriremo solo nel prossimo disco.

La produzione esecutiva di questo lavoro è del Canzoniere Grecanico Salentino, del quale tu, sei polistrumentista, un mondo musicale con un sapore incredibilmente antico e universale. Credi di aver comunque portato quel mondo in Delayed?

Ho la fortuna di essere parte del CGS da più di 13 anni. È un progetto straordinario che pian piano ho iniziato a chiamare “famiglia” e che mi arricchisce costantemente a livello musicale e umano. Adoro scrivere con Mauro, Emanuele, Alessia, Giancarlo, Massimiliano, Silvia, Francesco, e nel nostro ultimo album “Meridiana” ho firmato diversi brani. In Delayed per quanto siano presenti le percussioni di Mauro e i bouzuky di Lele, e per quanto ci sia la sensibilità di Francesco nei mix, non posso certamente affermare di aver portato quel mondo; nel disco tuttavia c’è tutto il mio vissuto, e nel mio vissuto c’è ovviamente anche il Canzoniere. Del resto la cosa bella di essere parte attiva di un progetto musicale così forte com’è il CGS è proprio avere la possibilità di poter continuamente sperimentare a livello personale.

Nel tuo sito c’è una bellissima citazione di Fabrizio De Andrè “La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà”. L’hai trovata davvero questa libertà?

L’ho trovata, e la ritrovo ogni volta che riascolto i brani. Nelle notti del lockdown scrivere è stato liberatorio, la musica mi ha permesso di spezzare le catene dell’isolamento e mi ha portato altrove in luoghi a volte onirici e distanti, a volte introspettivi. Se non ci fosse stato quel momento di “solitudine”, il disco non sarebbe mai nato.

Immagino che nonostante il titolo Delayed sia in procinto di partire per un lungo tour. Qualche anticipazione?

Nel luglio del 2021 ho utilizzato in anteprima assoluta i brani del disco per musicare live un cortometraggio a tema ambientale in occasione del Climate Space Festival di Ludovico Einaudi. Sto lavorando e producendo in questa direzione e presto verranno annunciate delle date.

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